Appunti e testi poetici dalla serata “La nostra anima fa ombra. Poesia e Blues”
Venerdì 29 gennaio presso il Teatro degli Atti il poeta Davide Rondoni e il maestro Corso Buscaroli hanno portato i presenti in un viaggio scandagliando il cuore dell’uomo, il suo desiderio di ogni cosa, e la nostalgia per qualcosa di bello, che lo ha toccato, una nostalgia per qualcosa di già conosciuto. Perché nell’uomo c’è un’inestinguibile nostalgia di qualcosa di infinito.
Questi sono alcuni appunti dall’introduzione alle poesie lette nel corso della serata da Rondoni.
Davide Rondoni
Forse non sapete che la parola nostalgia fu inventata a proposito delle guardie svizzere nel 1600. le guardie arrivate a Roma per servire il Santo Padre, inspiegabilmente si ammalavano e i medici di allora coniarono questa parola, da nostos – ritorno e da algos – dolore. Una malattia che era una mancanza per qualcosa per cui si è fatti.
La poesia parla della nostalgia non perché la poesia è triste, ma perché documenta l’esperienza dell’uomo, di tutti noi, quando ci troviamo di fronte a qualcosa che ci colpisce e ci rimanda a qualcos’altro rispetto al consueto, qualcosa di eccezionale, che è ciò a cui vorremmo tornare. Tutti i grandi poeti hanno vissuto questo, da Omero a Ungaretti che definiva l’uomo un nomade.
Due poesie che leggo sempre. La poesia nasce da qualcosa che ti colpisce. Come quando creiamo nomi nuovi per la donna che amiamo, non ci bastano più le solite parole. Qualcosa che ti ha colpito, l’attenzione al mondo che ti parla, se non ci si lascia colpire, si arriva a parlare come parla la televisione. Un linguaggio vivo è invece il segno della realtà che ti colpisce. Come dice Dante si usano le parole per mettersi in rapporto con quello che non sai e che ti sta parlando.
Nel 1908 Ezra Pound pubblica una raccolta Lume Spento. Tra questa c’è una poesia dedicata a Venezia, Pound vede Venezia e si lascia colpire. Secondo me è una delle poesie più belle che descrive l’esperienza della bellezza. Scoprire Venezia fa esclamare a Pound:
“O Dio, quale grande gesto di bontà/abbiamo fatto in passato/ e dimenticato,/ Che tu ci doni questa meraviglia,/ o Dio delle acque?
O Dio della notte,/ quale grande dolore/viene verso di noi, che tu ce ne compensi così/prima del tempo?”
Da “Litania notturna”, Ezra Pound
Una così grande esperienza della bellezza che ti viene il sospetto di non meritarla oppure che debba arrivare una grande sventura. La bellezza è un’esorbitanza del presente.
Al contrario della stessa grandezza è è l’esperienza del dolore che racconta Ungaretti nella poesia dedicata alla morte di suo figlio di 9 anni, una poesia meravigliosa e tremenda.
Ti vado a prendere il vestito a casa, Poi nella cassa ti verranno a chiudere Per sempre. No per sempre Sei animo della mia anima, e la liberi.
Ora meglio la liberi Che non sapesse il tuo sorriso vivo: Provala ancora, accrescile la forza, Se vuoi – sino a te, caro! – che m’innalzi Dove il vivere è calma, è senza morte.
Da “Gridasti: Soffoco”, Ungaretti
In Brasile c’è un ballo che tutti consociamo: il samba. E in questa danza come in tutte le grande danze popolari si capisce che non c’è un passo in più del dolore e un passo in meno dell’allegria. Così nella poesia c’è tutto il dolore possibile, ma anche l’infinito per cui l’uomo è fatto. La vita non è distinguibile, dolore da una parte e gioia dall’altra. Così accade paradossalmente che una poesia come questa, piena di dolore, comunichi una sorta di forza della vita. E’ un poesia terribile, però al tempo stesso comunica una sorta di forza perché la vita è questa composizione strana.
Sentite questa poesia di un poeta mio amico marchigiano Antonio Santori, dice che cosa fa la poesia. Nomina la vita, ce la fa vedere, ci fa vedere le cose, il rilievo delle cose.
Perché essere in questo luogo/è molto, e certo dire/ dove siamo/ è il nostro compito./Oscurità e acque,/ albe, ventre/ dell’inferno, albero/ di prua, inseguimento./ E, vedi, il corpo,/ il nostro corpo soltanto/ può dire/ bianco, tellina, lontano,/ vento. Blues, inverno, ombra/ delle cose, aldilà. Ascolta,/ bacio./ Pensaci,/ è un privilegio dire/ odore delle case, mano/ sopra la pelle, la prima volta./ Dire infinito/ nelle erbe, è accaduto,/ è strano,/ sorellina, madre,/ stelle./ Dire/ Per sempre,/ innevato, accanto,/ spaventato,/ Sono esistito./ Per questo mentre/ vivo tutto mi sembra/ innominato.
Da “La linea alba”, Antonio Santori
Il titolo di questa serata è un verso di Gregori Corso, uno dei migliori poeti della beat generation. Dire che la mia anima ha un ombra, è dire che la mia anima è la cosa più concreta che ho, più reale e i poeti scommettono più questo. Se non hai quella, tutto il resto diventa finto.
Credo di aver avuto 32 anni davvero strani.
E non sono dipesi da me, nemmeno uno.
Non c’è stato da scegliere tra due strade: se ci fosse stato
non dubito che l’avrei scelte tutte e due.
A me piace pensare che è stato il caso a farmi suonare la campana.
La chiave, forse, è nella mia affermazione spavalda:
“Io sono un buon esempio dell’esistenza di una cosa chiamata
anima.”
Amo la poesia perché mi fa amare
e mi mostra la vita.
E di tutti i fuochi che muoiono in me,
ce n’è uno che brucia come il sole;
può darsi che non illumini la mia vita privata,
i miei rapporti con gli altri,
o il mio atteggiamento verso la società
ma mi dice che la mia anima ha un’ombra.
Scritto la vigilia del mio 32 compleanno, Gregory Corso
E alla concretezza dell’anima per i poeti fa eco la concretezza delle cose l’assoluta incancellabilità delle cose. Tutte le poesie importanti di Leopardi iniziano con “vedi”, “mira”, il poeta non è uno che guarda se stesso. Il poeta è quello che guarda, che vede, attesta l’esistenza delle cose, per questo i poeti non sono mai nichilisti. Come
Oppure posso negare l’evidenza, come ad esempio dice un poeta, che dedica una poesia a uno sgabello, uno sgabello qualsiasi, perché le poesie si possono fare su tutto. E questo poeta che si chiama Zbigniew Herbert, poeta polacco morto qualche anno fa, fa una poesia pubblicata nell’83 che dice così:
“Alla fine questo amore non si può celare
piccolo quadrupede su gambe di quercia
dalla pelle indicibilmente ruvida e fresca
oggetto quotidiano senza occhi ma con un viso
su cui le rughe della venatura indicano la maturità
asinello grigio il più paziente asinello
ha perso il pelo per i troppi digiuni
e accarezzandolo il mattino la mia mano
sente solo un ciuffetto di setola legnosa
Lo sai, mio caro c’erano ciarlatani
che dicevano : mente la mano mente
l’occhio quando tocca forme che sono vuoto
era gente cattiva invidiosa delle cose
voleva pigliare il mondo all’amo delle negazioni
come dirti la mia gratitudine ammirazione
accorri sempre al richiamo dell’occhi
spiegando con l’immobilità della tua mimica
al povero intelletto: siamo autentici –
alla fine la fedeltà delle cose ci apre gli occhi.
Lo sgabello, Zbigniew Herbert
e Montale che era scettico, ma non nichilista se la prende con i nichilisti, con coloro che vogliono prendere il mondo all’amo delle negazioni:
Con quale voluttà hanno smascherato il Nulla.
C’è stata un’eccezione però: le loro cattedre.
Chi è che può toccare la sostanza delle cose? Che è ciò di cui abbiamo nostalgia, ciò per cui siamo fatti, chi può sfuggendo all’amo delle negazioni, chi può arrivare a ciò per cui siamo fatti, alla stoffa del mondo.
Rilke pensava che forse potevano essere gli amanti, gli autori del gesto perfetto. L’uomo mentre ama.
Seconda Elegia, Rainer Maria Rilke
Tutta questa tensione perché si possa dire ciò di cui abbiamo nostalgia.. sembra che gli amanti vadano vicino a quel punto, am è veramente così? Questa è la grande domanda di Rilke.
Il poter dire veramente è la nostalgia di sempre, vale sempre nella gioia e nel dolore quando sembra che tutto ciò che è umano venga cancellato. Pensate al dolore di Haiti… come si può dire qualcosa di umano di fronte alla grande tragedia?
C’è una poetessa Anna Achmatova che scrive una prosetta dentro un’esperienza che visse. Gli arrestarono il figlio negli anni 20 in Russia e per 17 mesi andò davanti a questo carcere e racconta come anche nel dolore più duro rimane il desiderio di poter dire l’umano.
(…) ho passato diciassette mesi in fila davanti alle carceri di Leningrado. Una volta qualcuno “mi riconobbe”. Allora una donna dalle labbra livide che stava dietro di me e che, sicuramente, non aveva mai sentito il mio nome, si riscosse dal torpore che era caratteristico di noi tutti e mi domandò in un orecchio (lì tutti parlavano sussurrando): - Ma questo lei può descriverlo? E io dissi: – Posso. Allora una sorta di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto.»
In luogo di prefazione, Anna Achmatova
In questa possibilità sta la tensione della poesia, la possibilità della poesia, dove rimane un fenomeno umano la poesia rimane. E’ un fenomeno antropologico, non culturale.
Un grande poeta si occupava anche di arte. E dedica una poesia ai capolavori dell’arte, cosa c’è dentro, cosa dicono. Una rassegna di capolavori e che alla fine dice qualcosa su che cosa è l’arte. Questo è Charles Baudelaire nella sua poesia “I Fari”
Queste maledizioni, bestemmie, pianti/queste estasi, grida, lacrime, e questi Te Deum,/ sono un’eco ripetuta per mille labirinti,/per i cuori mortali un oppio divino!
È un grido ridato da mille sentinelle,/ un ordine rilanciato dal mille messaggeri:/è un faro acceso su mille cittadelle,/ un richiamo di cacciatori perduti nei grandi boschi!
Perché, veramente, o Signore, la migliore testimonianza/ che noi si possa dare della nostra dignità/ è questo ardente singhiozzo che va di era in era/e viene a morire al confine della vostra eternità!
Un altro grande poeta del novecento Auden scrive una poesia ironica, ma di polemica: alla società in fondo della nostalgia e del tuo cuore se ne frega, nessuno ha interesse a quello. Magari lo si dice , ma poi non c’entra nulla. Nella vita.
L’Ufficio Statistico attesta
che mai fu fatta contro di lui querela,
e rapporto sulla sua condotta non si dà
che non lo giudichi un santo nel senso moderno di un termine
antiquato,
perché in ogni atto egli servì la Comunità.
Tranne che in Guerra, finché andò in pensione
lavorò in una fabbrica e mai fu licenziato,
ma piaceva ai padroni, Fudge Motors Inc.
Eppure non era un crumiro né aveva idee bizzarre,
perché il Sindacato attesta che pagava le sue quote
(e ci è attestato che il Sindacato non mente)
e i nostri Assistenti Sociali hanno rilevato
che era popolare tra i suoi compagni e beveva di gusto.
La Stampa è convinta che comprasse ogni giorno un quotidiano
e che non reagisse alla pubblicità in modo strano.
Le polizze a suo nome mostrano che era assicurato a vita,
e il suo Libretto Sanitario prova che fu in ospedale una volta
ma ne uscì guarito.
Le varie Ricerche di Mercato dichiarano
che sapeva usufruire dei Piani Rateali
e che aveva tutto quanto occorre all’Uomo Moderno,
un grammofono, una radio, un’auto e un frigo.
I vari Sondaggi d’Opinione rilevano soddisfatti
che aveva l’opinione giusta al momento giusto;
quando c’era la pace, voleva la pace; quando c’era la guerra,
partiva.
Era sposato e accrebbe di cinque figli la popolazione,
numero perfetto secondo il nostro Eugenista per un padre della sua generazione,
e i nostri insegnanti riportano che non ostacolò mai i loro programmi.
Era libero? Felice? Che domande assurde:
se qualcosa non avesse funzionato, di certo ne saremmo informati.
Il cittadino ignoto, Wystan Hugh Auden
Adesso vi leggo come omaggio una poesia di quello che è stato il mio maestro Mario Luzi. Sul tema della nostalgia, se può essere un tema la nostalgia, più che un tema è un camion che ti arriva addosso.
Di che è mancanza questa mancanza,
cuore,
che a un tratto ne sei pieno?
di che?
Rotta la diga
t’inonda e ti sommerge
la piena della tua indigenza.
Viene,
forse viene,
da oltre te
un richiamo
che ora perché agonizzi non ascolti.
Ma c’è, ne custodisce forza e canto
la musica perpetua…ritornerà.
Sii calmo
Sotto specie umana, Mario Luzi
Per concludere alcune delle mie poesie
La prima è dedicata a questo tempo che stiamo vivendo dove ci sono fuochi che non avremmo mai pensato di vedere.
La notte è piena, vedi come
questa notte è piena di fuochi
stelle cadute nelle gole
o sui pendii, ai margini della città, pianure…
Passami una mano sugli occhi,
amore,
quasi distinguo più
i bagliori la notte dimmi,
sono casuali, roghi d’abbandono
o sperduti cerchi di festa ?
televisori accesi
in bivacchi di sentinelle
o invasori accucciati
che fiutano nel gelo
e maledicono la bella testa
della luna…
Li innalza nel vuoto
una disperazione d’uomini ?
o ancora fuochi di qualche officina…
**
E là
nella grande aria del mare
sono falò per i naviganti
o contrabbando ?
un astro a cadere
o riflessi sulle lenti
di predatori…
Com’è piena di fiamme la notte, amore
tienimi una mano sul petto.
Cosa sta iniziando
cosa sta scrivendo
il fuoco in tutto il buio che c’è?
Inedito, Davide Rondoni
La seconda è una poesia che è dedicata ai miei figli. Chi come me è spesso in giro ha un po’ lo scrupolo di farsi perdonare quando torna a casa. Io consiglio i palloncini, costano poco e si trovano sempre come regalo. Una notte mi sono fermato è ho pensato questa poesia
“Visione dei miei figli”
La nostalgia è un sentimento anche allegro, perché se uno non avesse nostalgia di nulla sarebbe triste. L’uomo che ha nostalgia di qualcosa, vuol dire che c’è qualcosa a cui appartiene, e quindi non è triste. E’ una tristezza di nostalgia, non una tristezza di solitudine, di abbandono. La vera differenza è che la nostalgia è verso qualcosa cui sei legato e quindi c’è qualcosa cui sei legato. Quando mi pongono domande sulla fede, la nostalgia, la domanda, ecc siccome è inutile parlare di quelle cose lì, allora leggo questa serie di poesia che ho scritto come per rispondere a me su questa faccenda.
Prima però un altra su un fatto successo, mentre parlavo con una persona al tavolo di fianco…
Ho sentito il nome al tavolo.
Parlava forte un tizio
pantaloni bassi in vita –
…………..e lei, candelabri
persi negli occhi
han riso molto
di qualcosa. No, poca luce
nel locale,
…….o troppo in ombra il volto
ma la voce un attimo ha detto:
Gesù. E si è fermato
il sorso,
il nome tra i bicchieri.
È su tavoli di questo genere
che ha iniziato a correre, confuso nel suo splendore
tra le mani, le fiaccole, le carte.
– – Tu che sognando disegni le linee dei golfi
e muovi le ombre su Marte, e reggi
il petto degli uccelli in volo
non andartene
dalle sere dove i corpi bevono
e si scambiano pensieri nelle tenebre,
non restare Dio così da solo
Per incontri rari, Davide Rondoni