Su La Repubblica di venerdì 19 novembre Corrado Augias risponde a un’insegnante che lamenta il comportamento del proprio Dirigente scolastico, il quale, sollecitato da una collega a telefonare ai genitori di uno studente che aveva bestemmiato in classe, si lascia convincere dall’argomentazione difensiva della madre – “bestemmiano tutti, pure i politici in TV” – giustificando il giovane e rimandando la professoressa in classe. La predica moralista dello sdegnato Augias sfiora il preside (“più scorato che cinico”) per poi colpire il capo del governo, l’incuria che grava sul nostro patrimonio artistico e lo stato della scuola italiana. Questa, dice, è “l’aria che circola, la coscienza che della scuola pubblica in realtà non gliene importa niente a nessuno, tanto è vero che 250 milioni sono stati stanziati solo per le scuole private.” Ecco ciò che scandalizza veramente Augias. La “difficoltà” dell’insegnante, le “giustificazioni” della madre, lo “scoramento” del preside: come potrebbe essere altrimenti con tutti quei soldi dati alle scuole private.
Ma le difficoltà dell’educazione, l’urgenza di recuperare un rapporto educativo con i ragazzi, sia in famiglia che a casa, meriterebbero un atteggiamento meno ideologico e che non fossimo noi (gli adulti) i primi a nasconderci dietro facili slogan, a favore di una scuola o quell’altra. E invece mettere in gioco noi stessi davanti al desiderio dei ragazzi e prima ancora al nostro.
Mettersi in gioco
“Non c’è, non esiste, non ci sarà mai in una civiltà che voglia chiamarsi tale, niente di più grande, alto, invalicabile dell’educazione. Gli uomini possono morire e la sanità è una gran bella cosa. Ma più di tanto non si può. Gli uomini possono invecchiare. E la pensione è una grande cosa. Ma più di tanto non si può. E devono, possono lavorare: ma non si parte da zero; è la cultura che dà diritto e un senso al lavoro. Cos’è la cultura? Santo Iddio è quel che dà un senso a quel che facciamo. Il primo grande fondamento che ci dobbiamo mettere in testa noi insegnanti, noi educatori, noi genitori è quello di dare un senso, non immagini, grafici, guadagni, interessi, poteri, successi ma senso, significato ascritto del dolore che proviamo, della felicità che ci viene a meno e del perché”. (Roberto Vecchioni, La Stampa il 20 novembre).
Dialogo dei cuori
“Perché non ce la facevano in questa scuola, cosa gli faceva fare tanta fatica? Ho cominciato a domandarmi: cosa importa ad un pakistano di Dante? Ad un cinese cosa importa del risorgimento italiano? Ho dovuto capire che innanzi tutto dare la risposta a queste domande, per dare la risposta a loro, io dovevo capire che cosa importava a me fino al punto che intercettava loro. Per me c’è stata una lezione che è stata una svolta. Il preside mi aveva dato una quarta che potevo prendere solo io perché era una classe che era stata massacrata e la classe stessa aveva massacrato gli insegnanti. Erano 31: 16 extracomunitari e 15 italiani. Una classe violentissima, una classe che impediva a qualsiasi insegnante di fare lezione. Sono entrata il primo giorno e dico: “Sono la vostra insegnante di Lettere. Io non vi chiedo di ascoltarmi tutto l’anno. Io vi chiedo di ascoltarmi un’ora e decidere alla fine di quest’ora se vale la pena ascoltarmi un anno. Ditemi se è possibile. Se poi voi alla fine di quest’ora deciderete di non ascoltarmi mai va benissimo, io ho il registro, alla fine vi boccio… Alla fine ognuno fa il suo. Non ci rompiamo l’anima, ma un tentativo di un’ora per capire se invece possiamo fare un anno insieme ve lo chiedo.” Mi danno un’ora. Dico “Oggi devo farvi Leopardi e Leopardi è un poeta italiano che ha scritto tante poesie. (Ho cominciato dall’ABC) Poesie che normalmente lui mette in bocca a se stesso, ma c’è una poesia – in questa classe c’erano 8 pakistani – che non mette in bocca a se stesso ma ad un pastore delle vostre parti: il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Questa poesia è un lungo dialogo che questo pastore fa con la luna, ponendo alla luna le sue domande su di sé. Perché mette questa poesia in bocca ad un pastore errante? Perché è come se dicesse che c’è qualcosa in noi che non appartiene al tempo e allo spazio, non appartiene al fatto che voi siete musulmani, io sono cristiana, che voi siete dell’ottocento o un altro è del novecento, uno è un pastore, un altro è un intellettuale; c’è qualcosa che appartiene all’uomo in quanto tale. Perciò la intitola così. Adesso ve la leggo e alla fine chiamerò ognuno di voi – perché in questo non c’è risposta di classe – e vi chiederò se il titolo di questa poesia è giusto o se più umilmente Leopardi doveva intitolarla Canto notturno di uno sfigato poeta marchigiano dell’ottocento. E come farete per dirmi se il titolo è giusto? Se mentre io la leggo voi paragonate quello che io leggo col vostro cuore, in certi momenti in particolare, tipo quando vi siete innamorati la prima volta, oppure quando avete lasciato il Pakistan o l’Albania e avete visto una terra che si allontanava e poi avete visto una terra che non conoscevate che si avvicinava. Oppure davanti al mare, davanti alle stelle; oppure, come succede a me, in quei dieci minuti che passano quando si spegne la luce la sera quando vi addormentate, quando vi vengono in mente le cose grandiose che non farete mai.” Io ho letto questa poesia in un silenzio irreale. Alla fine li ho chiamati uno per uno partendo dai pakistani, chiamandoli per nome e chiedendo se quello era il loro canto notturno. Loro rispondevano “Sì prof, è il mio canto notturno”. Nessuno rideva. Li ho chiamati tutti e 31. Alla fine gli ho detto: “Guardate che oggi noi abbiamo fatto un’esperienza dell’altro mondo. Abbiamo scoperto che noi che siamo così diversi l’uno dall’altro, che apparteniamo a mondi così lontani e così nemici a volte, abbiamo un terreno comune grandioso che è quello con cui dialogano i cuori. Perciò, perché è interessante studiare questi poeti? Perché loro hanno dato voce a qualcosa che ci appartiene e ci appartiene ad un livello così radicale che ci accomuna.” E ho concluso. Con questa classe qui, ho fatto uno spettacolo sull’Ulisse di Dante con loro che recitavano Dante a memoria. La cosa interessante è che ciò che educa l’altro non è ciò che gli dici ma il cambiamento che vivi, in quello che gli dici. Altrimenti li istruisci ma non li educhi.” (Mariella Carlotti, insegnante)
A proposito di scuole private
Si mandano i figli nelle scuole private solamente se si ha una preoccupazione educativa, se i genitori hanno una preoccupazione educativa. E le stesse scuole private funzionano se c’è un preoccupazione educativa. Infatti la scuola privata è un luogo, un ambiente in cui la preoccupazione educativa permea tutto… Diverso è nella scuola statale, anche se uno ha la fortuna di incontrare insegnanti bravi.
Ai nostri giorni c’è meno paura per i figli, meno timore per il loro destino, timore che provocava una domanda rispetto a dove mandare i figli a scuola. Questo cedimento rispetto alla preoccupazione educativa accade innanzitutto per la cultura in cui siamo coinvolti, che fa si che si considerino più importanti altre cose, altri valori.
Oltre i luoghi comuni, alcuni numeri
Risparmio che lo stato ogni anno realizza grazie alle primarie: 6 miliardi e 245 milioni di euro
Materna statale. Spesa dello stato per ogni bambino: 6.116 euro. Materna privata. Spesa dello stato per ogni bambino: 584 euro. Differenza: 5532 euro per un totale di 3 miliardi e 436 milioni di euro.
Elementari statali. Spesa dello stato per studente: 7.366 euro. Elementari private. Spesa dello stato per studente: 866 euro. Differenza: 6500 euro per un totale 1 miliardo e 202 milioni di euro.
Per le medie il risparmio è di 496 milioni di euro
Per le superiori 1 miliardo e 110 milioni
(Avvenire, 19 novembre 2010)
“Lo Stato risparmierebbe oltre 500 milioni di euro l’anno se aumentasse di 100 milioni i contributi alla scuola paritaria, consentendo a più famiglie di sceglierla. Insomma, sostiene Tuttoscuola, ogni euro investito nella scuola paritariarenderebbe allo Stato 5 euro di risparmio (che potrebbero essere in tutto o in parte reinvestiti nella scuola statale)”.
“Meno stato, più società: nella scuola, questo significa riconoscere il valore dell’istruzione, che deve essere sostenuto dal pubblico, in qualsiasi istituzione che sa educare. Non è solamente una questione di pluralismo. Si tratta di riconoscere il primato della società nell’educare se stessa”.