Appunti e materiali per un lavoro culturale.

Una giornata di Ivan Denisovich

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Centro Culturale ‘Il Portico del Vasaio’ venerdì 14 marzo alle 21,15 presso la Cineteca Comunale di via Gambalunga a Rimini propone la proiezione di ‘Una giornata di Ivan Denisovich’, film del 1971 per la regia di Casper Wrede, tratto dal romanzo che rese celebre Aleksandr Solgenitsin. Un’occasione privilegiata per rivedere un film che, pur premiato, ha avuto una circolazione limitatissima; e anche in televisione è stato trasmesso dalla RAI una sola volta circa trent’anni fa.

L’appuntamento si colloca all’interno del ciclo ‘Antologia di umanità’, inaugurato da Tat’jana Kasatkina che ha commentato Marmeladov, il personaggio di Fedor Dostoevskij, dopo la lettura di alcuni brani tratti da Delitto e castigo.

‘Una giornata di Ivan Denisovich’ non è infatti solo un documento straordinario di denuncia dei gulag sovietici; la forza del film, il suo fascino (com’è per il libro) sta nel mostrare degli uomini, detenuti in condizioni estreme, la cui umanità non è soffocata dalla privazione o dalle sofferenze; non un semplice adattamento per la sopravvivenza, ma una affermazione della libertà (ben piccola, se guardiamo al tempo e agli spazi fisici che può gestire) che si fa inattaccabile da qualsiasi potere. Strano paradosso nel quale la libertà si dimostra essere, in modo evidente, il potere dei senza potere.

Una giornata di Ivan Denisovich

Notte buia, in lontananza si intravede un punticino luminoso, fioco, poi la camera si avvicina, la luce prende una forma, sono più luci, lampioni, delimitano un quadrilatero, “la zona”.
Così, all’ora prima dell’alba e con un sottofondo musicale straniante, dissonante, inizia il film di (…) “Una giornata di Ivan Denisovic”, trascrizione fedele del romanzo che rivelò alla Russia e al mondo la grandezza del suo autore, l’allora sconosciuto Aleksandr Solgenitsin.
Letteralmente una giornata, dall’inizio alla fine, del detenuto S-854 e dei suoi compagni della 104a (la centoquattresima squadra) nel campo di lavori forzati riservato agli articolo 58-14, “nemico del popolo”. Per Ivan Denisovic Sciuchov dieci anni da scontare, 3.656 giornate come questa, col pericolo di essere condannati ad ulteriori dieci anni per una disobbedienza o una mancanza qualunque ai superiori.
Mentre ci scorrono davanti agli occhi immagini di fame, freddo, fatica, ingiustizia sistematica, punizioni, sopraffazione e corruzione, attaccamento istintivo alla vita (siamo stati fatti per la vita), ma anche sprazzi di solidarietà e gratuità che sembrerebbero impossibili in certe condizioni, realizziamo che al mondo non conta avere ragione (anche se è chiaro qui chi ha ragione e chi torto) ma sapere vivere. O come dice Alioscia, il battista, sapere perché si vive e perché si ringrazia Dio e si rende gloria al Signore per averci dato questa sorte.
Una sola frase della sceneggiatura da sola varrebbe tutto il film (che pure è veramente un piccolo capolavoro di realismo cinematografico, neppure un istante di noia, nei primissimi piani dei volti una vera antologia di umanità, in tante inquadrature una natura che dà sgomento): “Non ho più nulla, nemmeno i miei cari… Il corpo mi è quasi estraneo, restano importanti solo il mio spirito e la mia coscienza. Vincerà solo chi avrà rinunciato a tutto. Davanti a un simile detenuto cederà anche il lager”.
Ivan Denisovic Sciuchov non è un eroe, nei suoi dialoghi con Alioscia, rubati al sonno che ti tramortisce, viene fuori coi suoi dubbi. Ma “non era uno sciacallo, nemmeno dopo otto anni di lavori, e quanto più andava avanti, tanto meno intendeva diventarlo”. E “c’era dentro di lui qualcosa di inflessibile, egli non si rassegnava”. Il film, che sorprende nel suo sviluppo centrale, quando la 104a è al lavoro, serve a risvegliarci la domanda: qual è il potere di chi è senza potere?

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