A FIANCO DELL’UOMO. LA CHIESA DI PAPA FRANCESCO
Dialogo con Alessandro Banfi
Venerdi 28 marzo 2014
Buonasera e benvenuti a tutti. L’incontro di stasera vuole essere un momento di lavoro insieme sulla figura del Papa, sulle sue parole e sulla sua testimonianza; e questo lavoro non può che partire dal punto dentro di noi nel quale quelle parole risuonano, dal punto in cui quelle parole corrispondono a qualcosa che il nostro cuore aspetta, un punto particolare del nostro desiderio. Le parole del papa non si possono affrontare solo in astratto, come delle categorie da capire. Per averne il meglio ci tocca partire dal punto in cui queste toccano la nostra umanità.
Questo è l’interessante del lavoro e vi faccio un esempio. L’altro giorno ho comperato in edicola un giornale affiliato a “Chi” (quindi un giornale di gossip) che si intitola “Il mio Papa”, zero virgola cinquanta centesimi. Mezzo euro ed è tutto fotografie, testi, racconti, persone “già miracolate”. C’è tutta una parte di servizi che lo fa essere un vero e proprio giornale di gossip, ma dentro si trovano anche i testi delle omelie e degli interventi del Santo Padre (e se ne trovano più lì che in certi settimanali diocesani). Però qual è la nostra reazione? Qual è il rischio? Il rischio è quello di dire: “vedi, il successo del Papa in fondo è una costruzione mediatica; è il frutto dell’entusiasmo superficiale di qualcuno che in fondo non capisce cosa è il cristianesimo; e cosa vuoi che capiscano del cristianesimo quelli che leggono Chi!” Eppure il cristianesimo è iniziato per ognuno di noi allo stesso modo; qualcosa che abbiamo visto o qualcuno, come un amico; e sempre un dettaglio, improvviso, che ci ha colpito. Magari leggendo una rivista nella sala di attesa di un dentista.
Quindi l’idea, stasera, di parlare del Papa e delle parole del Papa o, meglio, la proposta, è quella di partire da noi che siamo stati colpiti, considerando che questo è il metodo proprio del cristianesimo.
Se l’inizio del lavoro è partire da noi stessi, poi deve continuare con la domanda “dove ci porta il Papa? Dove ci vuol portare?”, perché uno che venga colpito, che trovi qualcosa che vale la pena, poi deve essere disposto a seguire: come è successo a noi del centro culturale, che siamo cinque o sei, non è che siamo tanti e non è che lo facciamo di mestiere, quando abbiamo detto: “questa cosa del Papa ci interpella, proviamo a lavorarci sopra”. Quando questo accade (nelle parrocchie piuttosto che in nei luoghi di lavoro) è esattamente la dinamica del cristianesimo che si ripete: qualcuno colpito che riparte e si riapre al mondo.
Detto questo saluto il nostro ospite Alessandro Banfi, direttore di TgCom (quelli che sono un po’ più vecchi lo ricorderanno anche a “Il Sabato”). Lo ringrazio per essere qui con noi e comincio subito con la prima domanda.
Il settimanale dei Paolini Jesus ha appena scritto in un editoriale che l’attuale papato mette finalmente “il Vangelo al centro” a differenza dei pontificati precedenti. Al di là di tali sciocchezze teologiche, che continuità esiste tra Benedetto e Francesco? Quali sono gli effetti del gesto di Benedetto su come Francesco vive e può vivere oggi il papato? Il suo passo indietro è il segno di una oggettiva crisi del papato come istituzione; come si può leggerlo come passo in avanti per la Chiesa?
Intanto vi ringrazio e stasera sono qua proprio come testimone e cronista di questo anno incredibile che abbiamo vissuto. Parto da qui; mi sembra incredibile che sia passato un anno solo. Davvero, perché è stato un anno in cui non ci è bastato il tempo per riflettere su ciò che era avvenuto. La cosa bella della dinamica dell’avvenimento è che te ne accorgi dopo. È proprio nella struttura dell’umanità, è come quando ti innamori di qualcuno, come quando ti nasce un figlio, come quando ti capita una grande fortuna o anche una grande tragedia (mio padre è morto pochi mesi fa e continuo a riflettere su questo fatto che è avvenuto). Un anno sembra niente, sembra che sia successo ieri, e il miracolo è cominciato con Benedetto XVI, è stato un anno del Signore, passerà alla storia come qualcosa di pazzesco, perché pensate che erano otto secoli che un Papa non si dimetteva. Non è una cosa da ridere. Otto secoli. Benedetto XVI ha fatto un tragitto nel suo Pontificato straordinario, e il suo ultimo gesto rimarrà alla storia più di tutto, forse sarà l’unica cosa che di questo anno eccezionale un domani nell’ottica dei secoli rimarrà; perché è stato un gesto di grandissimo rinnovamento nella Chiesa. Allora parto da qui, parto dicendo che la scelta radicale di papa Ratzinger ha generato papa Francesco, quindi chi li contrappone cerca di strumentalizzare qualcosa. La realtà dei fatti, ma anche la profondità dei fatti, davvero la loro verità è stata questa: papa Benedetto XVI, papa Ratzinger, in un certo momento, ha incominciato a maturare l’idea di chiedere al Signore un intervento diretto nella storia della Chiesa, perché si era arrivati ad un certo punto e lui ha maturato questa decisione. Allora io parto da lui, in questa serata che vuole essere una serata di citazioni nel senso migliore, nel senso agile del termine. Ad un certo punto, in questo bellissimo libro che è la sua intervista a Peter Seewald “Luce nel mondo”, lui dice: “non sono un mistico, ma è sicuramente vero che da Papa ci sono molte ragioni in più per pregare e per affidarsi completamente a Dio. Mi rendo conto che quasi tutto quello che devo fare non potrei farlo da solo, e già solo per questo, sono costretto a mettermi nelle mani del Signore e a dirGli “fallo Tu se lo vuoi!” In questo senso la preghiera e il contatto con Dio ora sono ancora più necessari ma anche più naturali e spontanei di prima”. Rileggerlo oggi è bellissimo! Poi dice: “per quel che riguarda il Papa lui è un povero mendicante davanti a Dio, ancora più degli altri uomini. Naturalmente prego innanzitutto sempre il Signore al quale sono legato per così dire da antica amicizia, ma invoco anche i Santi, sono molto amico di Agostino, di Bonaventura, di Tommaso D’Aquino, a loro quindi dico: “aiutatemi”. La Madre di Dio poi è sempre un grande punto di riferimento, in questo senso mi inserisco nella comunione dei Santi, insieme a loro, rafforzato da loro, parlo poi anche con il Dio buono, soprattutto mendicando ma anche ringraziando, o contento semplicemente”. Quest’uomo qui ha dialogato con Celestino V, e Celestino V è stato un grandissimo personaggio della storia della Chiesa. Purtroppo noi siamo un po’ condizionati dal giudizio negativo che ne dà Dante nella Divina Commedia, ma Ratzinger da Papa, a tutti gli effetti da Papa, volle andare all’Aquila e mettere il pallio papale sulla teca che conserva il corpo di Celestino V, riscattandone in qualche modo la memoria. Nella bellissima abbazia di Collemaggio, benché diroccata dal terremoto, rischiando di essere colpito da un calcinaccio, Ratzinger va dentro la chiesa a mettere questa cosa qua. Aveva già in mente! Ma cosa è di Celestino V che tanto colpiva Ratzinger? Perché Ratzinger, che ha questa consuetudine con la storia della Chiesa, che a me sorprende sempre, Ratzinger sente giustamente che in fondo non solo il mondo è piccolo ma la storia è piccola, e le grandi questioni della vita della Chiesa rendono i santi vicini. Pensate cosa stiamo vivendo con questo Papa che ci ha riportato San Francesco d’Assisi.Ma chi ci ha riportato veramente San Francesco d’Assisi è stato Ratzinger, perché il gesto di Celestino V è un gesto profondamente francescano. E’ la spoliazione, 1294, quando Celestino V raduna i cardinali, perché si sente ormai inadeguato alla sua funzione, lui che era stato monaco li mette tutti lì e poi si toglie il vestito papale, fisicamente si spoglia, in una semplicissima cerimonia. Ratzinger ha studiato, addirittura usa alcune delle stesse parole di Celestino V. Allora cosa c’è di simile nel duemilatredici al milleduecentonovantaquattro? Sono passati otto secoli, e invece è uguale, è uguale l’ansia di rinnovamento, quella che Jacques Le Goff parlando del Basso Medioevo, chiama l’ansia di renovatio. Noi a scuola abbiamo sempre avuto l’immagine del Medioevo come di una roba tutta solida, no? Ma non è così. Ma anche noi “ciellini” abbiamo spesso l’idea che il Medioevo è una cosa tutta compiuta, tutta organica. Invece, chi legge Dante lo sa, anche lì c’era sempre il problema di cercare di dare delle forme alla grazia del Signore che alla fine la soffocavano. San Francesco è stato questo, San Francesco si è spogliato pubblicamente dei suoi vestiti e così facendo ha iniziato un cammino di purificazione della Chiesa che arriva fino ad oggi. Ratzinger ha riportato le lancette della storia della Chiesa lì, di fronte ad una roba che non era mai accaduta. Lo scandalo Vatileaks, se ci pensate è una roba dell’altro mondo: hanno preso delle carte che erano sulla scrivania del Papa e le hanno pubblicate sui giornali; non era mai capitato nella storia della Chiesa moderna! Certo nella Chiesa ci sono state tante cose anche violentissime e orribili, anche nei confronti dei Papi, Papi incarcerati, Papi prigionieri, Papi uccisi (non solo i martiri dell’inizio), ma questo era un Papa prigioniero a casa sua, tradito a casa sua, reso in cattività nell’appartamento papale nel Vaticano, alla terza loggia. E Ratzinger si è sentito così, nonostante i suoi familiari lo circondassero di affetto, nonostante le tante persone che gli volevano bene, nonostante che molti pregassero per lui, ma lui ha sentito questa cosa e allora dice a Seewald due cose, che rilette oggi sono chiarissime. La prima è: “quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli ha il diritto ed in alcune circostanze il dovere di dimettersi”. Questo lo dice due anni e mezzo prima del gesto dell’11 febbraio. L’11 febbraio di un anno fa prende la decisione, dice in latino davanti ai cardinali che sta per dimettersi e innesca questo meccanismo di rinnovamento, la stessa ansia di rinnovamento che c’era dentro il gesto di Celestino V, lo stesso meccanismo ad orologeria, lo stesso gesto francescano che è arrivato a far si che il suo successore si chiamasse così. Perché Francesco era colui che, in un’ epoca storica completamente diversa ma con tante analogie, riportava alla essenzialità del cristianesimo, all’essenzialità di Gesù Cristo. Gli chiedono nello stesso libro-intervista, sulla drammaticità della Chiesa e del mondo secolarizzato, e lui dice: “si, è un periodo segnato dagli scandali e abbiamo fatto esperienza di questa sensazione di tristezza, di dolore, di quanto misera sia la Chiesa -dice Ratzinger- e di quanto falliscano i suoi membri. La prima cosa è che di questo dobbiamo fare esperienza per la nostra mortificazione e per la nostra autentica umiltà. La seconda è che Egli, Gesù, non abbandona la Chiesa, nonostante la debolezza degli uomini, suscita in lei santi ed è presente in mezzo a loro. Credo che i due sentimenti vadano insieme; il turbamento per la miseria e la peccaminosità nella Chiesa e un altro turbamento, la commozione che nasce dal fatto che il Signore non abbandona questo strumento ma agisce per mezzo di essa e che Egli si mostra sempre attraverso la Chiesa e in essa”.
E allora il nome Francesco è già scritto in quello che Ratzinger ha lasciato. La forza del suo gesto di umiltà, di sottrazione, di mortificazione, di denuncia del male nella Chiesa, era un fortissimo gesto che gridava al mondo e ai cardinali l’ansia di purificazione. Noi sappiamo bene che Ratzinger ha incominciato il suo Pontificato parlando della ragione, della purificazione della ragione, dicendo al mondo: “guarda che il modo con cui tu mondo ragioni è malato, ha bisogno di una purificazione”, poi è arrivato alla purificazione della fede e qui mette già a tema la purificazione della Chiesa, la pedofilia, ma non solo la pedofilia. Sente il peso di questo, sente il dovere di dire al mondo e alla Chiesa che è arrivata la purificazione anche dello stesso pontificato. E allora chi è San Francesco d’Assisi? Perché Francesco d’Assisi? Una cosa molto bella di Francesco è il suo testamento, che poi è legato alla Porziuncola, ma vi dico solo questo di San Francesco che secondo me resta sempre la cosa più interessante di tutte. Nel suo testamento, dopo tutto quello che ha fatto nella vita, quello che ha suscitato, quello che ha la nostra stessa vita; dall’invenzione del giubileo, dall’invenzione del presepe, dall’invenzione della lingua italiana, Francesco scrive nel testamento: “Signore ti ringrazio perché ho incominciato a convertirmi” ho incominciato a convertirmi, questo è il punto di fondo cioè l’idea che tutta la questione della vita è l’inizio della conversione, che è poi la più grande fortuna che ti può accadere. Riportare a questo livello la questione ha permesso ai cardinali di arrivare alla elezione di Francesco. Ecco perché in qualche modo il nome Francesco era già scritto nello spirito con cui i cardinali seriamente hanno preso il gesto di Ratzinger, è stato drammatico, è stato un momento limite in cui lui ha posto la Chiesa, ma è come se la Chiesa e in qualche modo anche il mondo, avessero avvertito che c’era una partita grande di ritorno alla essenzialità. Queste sono state le premesse di questa straordinaria storia. E poi ci si potrebbe soffermare sulla storia del Conclave, e degli ultimi due Conclavi. Io l’ ho accennato in un articolo fatto per Tracce; è incredibile, se ci pensate, che nel Conclave del 2005 Ratzinger ha molti voti ma Bergoglio raggiunge un tale livello di voti (mi sembra quaranta) che blocca la possibile elezione di Ratzinger per la regola dei due terzi per undici o quindici elezioni, il che avrebbe voluto dire mettere la Chiesa in uno stato di attesa, di prostrazione (perché oggi non è più accettato quello che capitò a Viterbo dove il popolo romano scoperchiò il tetto del luogo in cui si svolgeva il Conclave, perchè dopo un anno non avevano ancora fatto il Papa), allora Bergoglio decide di rinunciare e dice: “votiamo tutti Ratzinger”. Poi a distanza di otto anni Ratzinger rinuncia e Bergoglio viene eletto Papa. Se non è qualcosa di incredibile questa storia! Non è concepibile dal miglior giallista, diciamo.
La seconda domanda è anticipata nel sottotitolo che abbiamo dato all’incontro (La Chiesa di Papa Francesco): qual è la Chiesa che Papa Francesco ha in mente? Quali sono i punti sui quali per Papa Francesco essa deve “convincere” gli uomini? Qual è il percorso che il Papa chiede ad ogni cristiano? I cattolici colgono fino in fondo la nuova spinta del Papa o ragionano un po’ come i laici.
Veniamo a papa Francesco. Se le premesse sono state quelle ho detto, e le premesse sono state queste, chi conquista la fiducia dei cardinali, prima soprattutto nelle cosiddette congregazioni? I cardinali avevano mostrato molto interesse per il discorso di questo arcivescovo di Buenos Aires, questo Bergoglio, già noto dal conclave di otto anni prima , che puntava molto su cosa, quale è la sostanza? Tu mi chiedi quale è la Chiesa di papa Francesco. Io penso che ci sono tanti modi per dirlo e staremo qua ancora un po’ a cercare di entrare in questo personaggio. A me però ha colpito del suo libro intervista fatto con i due giornalisti argentini Rubin e Ambrogetti, mi ha colpito questo episodio che vi leggo (Bergoglio è vescovo ausiliare a Buenos Aires): «arriva uno in chiesa, un ragazzo di circa ventotto anni che parlava come se fosse ubriaco, ma intuii che doveva essere sotto l’effetto di farmaci psichiatrici, allora io testimone del Vangelo, colui che stava facendo l’apostolato gli dissi: “guarda sta per arrivare un prete, ti confesserai con lui perché io ho altro da fare”. Sapevo che il sacerdote non sarebbe arrivato prima delle sedici, ma pensai che essendo sotto psicofarmaci l’uomo non si sarebbe accorto dell’attesa e me ne andai tranquillamente. Dopo pochi passi provai una terribile vergogna, tornai indietro e gli dissi: “il padre tarderà, ti confesso io”. Bergoglio ricorda che dopo averlo confessato lo condusse davanti alla Madonna per chiederLe che lo guarisse, poi pensò che il treno che lui doveva prendere oramai era già partito, ma arrivato in stazione scoprì che il treno aveva fatto un ritardo clamoroso e riuscì a prenderlo. Al ritorno non andai direttamente a casa ma passai dal mio confessore perché ciò che avevo fatto mi pesava. “Se non mi confesso, domani non potrò celebrare Messa”, mi dissi. In parole povere fu una circostanza in cui l’efficienza e l’efficacia non tollerarono restrizioni. “In quel momento giocavo a fare Tarzan” -commenta raccontando di se stesso- era Gennaio, l’arcivescovo di Buenos Aires era in viaggio e io in qualità di Vicario generale mi occupavo della Diocesi; al mattino seguivo le questioni della Curia, alle due del pomeriggio andavo alla stazione per prendere il treno fino a Castelardo dove stavo conducendo degli esercizi spirituali per alcune suore. Nutrivo una enorme presunzione, quindi stavo peccando ma non me ne rendevo conto, in qualche modo mi dicevo: “guarda che bravo che sono, che grande, quante cose riesco a fare” il mio atteggiamento era pieno di superbia». Sono partito da questo, dal fatto di un Papa che racconta di un suo peccato; perché certamente è già capitato però c’è dentro una “cifra” di quello che lui vuole essere. Altra citazione; Corriere della Sera, intervista di Ferruccio de Bortoli. Gli chiede il direttore del Corriere: “la Francescomania (il successo che lui ha, questa bolla mediatica per cui tutti parlano bene di lui) … C’è qualcosa nella sua immagine pubblica che non le piace?” e lui risponde: «Mi piace stare tra la gente, insieme a chi soffre, andare nelle parrocchie. Non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco. Quando si dice per esempio che esce di notte dal Vaticano per andare a dar da mangiare ai barboni in via Ottaviano. Non mi è mai venuto in mente. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale». Mi sembra che la prima cosa di questo Papa è stato questo, anche attraverso i suoi gesti simbolici, cioè andare dritto sull’intuizione di Ratzinger, che aveva fatto un gesto anche altamente drammatico dimettendosi dimostrando che l’umiltà, la mortificazione, il limite poteva essere un valore perché ricordava che quello che contava nella Chiesa era il Signore, non c’era da stare all’altezza di un Papa superman, che non riusciva ad essere (anche volendolo). E Bergoglio è andato avanti in questa lotta, è andato avanti coerentemente,secondo me, in quello che il Signore e lo Spirito gli suggerivano. E allora nello stesso modo con cui Ratzinger ha preso questa svolta, Francesco allora ha rinunciato all’appartamento Pontificio, e questo è importantissimo. Può sembrare una cosa secondaria ma il vivere a Santa Marta in un convento che è più simile a una casa di preti che non ad un appartamento di capo di stato, il rinunciare a quella cosa lì è stata importantissima, perchè ha voluto dire rompere quella cosa per cui il Papa era allo stesso tempo, si osannato, capo di stato ecc. ma era prigioniero come l’ultimo periodo di Ratzinger aveva drammaticamente dimostrato. Ma poi gli altri gesti; il telefonare, il telefonare direttamente, non volere una segreteria ufficiale, non volere un “seguito” vero, avere l’ambizione di continuare a fare il prete, e come lui ha detto benissimo “il prete è felice”. Dice, sempre nell’intervista al Corriere della Sera: “ogni tanto chiamo quella signora vedova perché lei è contenta ed io faccio il prete”.
A proposito di “successo” mediatico: è possibile che questo sia anche il segno di una attesa (anche ansiosa e angosciata) della società contemporanea? Che cosa chiede l’uomo di oggi al cristianesimo e a questo Papa? Quale speranza? Con questo Papa è cambiato anche l’atteggiamento e il giudizio verso la Chiesa?
Cerchiamo di approfondire, senza troppo tediarvi, perché qui ci addentriamo … allora, Evangelii Gaudium, il cui tema principale è l’annuncio (dove Gaudium è la sottolineatura della Gioia). Lui dice spesso questa cosa, che qui c’è, al numero 49 dell’esortazione apostolica: “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” e poi dice (sempre nella Evangelii Gaudium al numero 37): “non è che dobbiamo avere il problema delle mode del mondo, però dal punto di vista dell’annuncio evangelico -lui lo dice citando San Tommaso- dobbiamo avere in mente che cosa diciamo alla gente, una adeguata proporzione del nostro messaggio. San Tommaso d’Aquino insegnava che anche nel messaggio morale della Chiesa c’è una gerarchia, nelle virtù e negli atti che da esse procedono. Qui ciò che conta è anzitutto «la fede che si rende operosa per mezzo della carità » (Gal 5,6). Le opere di amore al prossimo sono la manifestazione esterna più perfetta della grazia interiore dello Spirito.” ancora al punto 38 dice “nell’annuncio del Vangelo è necessario che vi sia una adeguata proporzione. Questa si riconosce nella frequenza con la quale si menzionano alcuni temi e negli accenti che si pongono nella predicazione. Per esempio, se un parroco, durante un anno liturgico, parla dieci volte sulla temperanza e solo due o tre volte sulla carità o sulla giustizia, si produce una sproporzione, per cui quelle che vengono oscurate sono precisamente quelle virtù che dovrebbero essere più presenti nella predicazione e nella catechesi. Lo stesso succede quando si parla più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio”. Caspita! Capite che qua dentro c’è un giudizio, è come se il giudizio ultimo di Ratzinger (che pensava esattamente le stesse cose e le aveva anche direi teologicamente giustificate, in modo anche più rigoroso e più costruito, diciamo, più solido ideologicamente), detto così è perfetto! Quante volte succede che alla gente non arriva nessun messaggio perché si parla più della legge che della grazia, della Chiesa che di Gesù Cristo, addirittura del Papa più che della Parola di Dio. È molto forte quello che lui chiede, d’altra parte Carron, quando è andato a trovarlo, nella lettera che ha scritto ai membri della Fraternità di Comunione e Liberazione, dovendo sintetizzare proprio il punto chiave dice: “Ha insistito sul bisogno della testimonianza, sulla necessità cioè di andare incontro agli altri, di fronte alla tentazione di chiudersi su posizioni difensive , incapaci di rispondere all’urgenza della trasmissione della fede, osservando che non sarà la pura ‘Restaurazione’ di forme del passato che potrà rendere attuale il cristianesimo per l’uomo di oggi”. Queste sono le parole che ha usato Carron. Mi ha colpito moltissimo, tra le letture di quest’anno, il libro di uno psichiatra, Massimo Recalcati, che ha scritto un libro sul padre, sulla paternità, che si intitola “Il complesso di Telemaco” dove nell’epilogo dice una cosa che mi colpisce sempre: «io ho sempre visto la figura del padre legata a due persone storiche, Telemaco e Gesù Cristo, perché tutte e due hanno vissuto molto l’assenza del padre, allo stesso tempo hanno vissuto nel seguire, nel rispettare la testimonianza del padre -Usa proprio il termine testimonianza e dice- il padre funziona proprio dal punto di vista della nostra natura, del nostro cervello, della nostra psiche, un padre si realizza attraverso la testimonianza, perché è solo la testimonianza che unisce la legge e il desiderio» che è esattamente la questione che citava Carron. Che cosa è papa Francesco? Carron insiste sul fatto se noi siamo coscienti che è solo la testimonianza che può colpire la gente, la gente normale, la gente che incontriamo, la gente-gente, come ci diceva una volta Giussani, cioè la gente senza altre specificazioni, presa per quello che è, voluta bene per quello che è. Allora davvero tutta la questione non è una legge, cioè dei valori, in altre parole -citando Carron- “la pura Restaurazione” di una forma del passato che al mondo d’oggi non dice più niente, ma è la testimonianza la chiave di tutto. È la testimonianza che davvero, lo possiamo dire in termini laici, lega la legge con il desiderio, cioè ricongiunge due cose che abitualmente vanno una da una parte e una dall’altra.
Questo è interessante perché parlare di testimonianza implica la presenza di una persona; vuol dire che questa antinomia tra la legge e l’amore la risolvi solo nell’accadere di una persona, quando essa stessa diventa avvenimento.
Esattamente perché, dice Recalcati, della testimonianza il figlio (lui parla di padre e figlio ma vale per tutti) si accorge solo dopo, perché dei fatti che ti accadono nella vita, del miracolo, di un grande amore ma anche di una disgrazia, ti accorgi solo dopo, non è una cosa che puoi possedere e neanche programmare troppo, è come una possibilità che si apre.
La Misericordia, la tenerezza, che ruolo giocano nell’evangelizzazione di Papa? “Non regole ma la gioia del vangelo” è una sottolineatura di umanità che qualcuno indica come pericolosa, ma l’essenziale dell’esperienza ecclesiale non emerge dalla applicazione di una dottrina o di un progetto ma da fatti che accadono.
Sì, esattamente. Allora, però qui c’è una questione che va presa di petto, la grande polemica è alla fine su questo, cioè sul fatto che Papa Francesco starebbe cedendo sui cosiddetti valori non negoziabili. C’è tutta una polemica di un mondo, di un certo mondo cattolico impegnato.C’è l’appello che, su Il Foglio, hanno sottoscritto tante persone, l’appello a Papa Francesco perché reagisca di più agli attacchi del mondo. Questo appello prendeva spunto dalla cosa assurda, per certi versi davvero assurda, dell’ONU sulla pedofilia, chiedeva più combattività, più azione. C’è poi tutta la discussione, anche con degli aspetti molto discutibili, molto dialettici, fra teologi e pastori sulla questione dei divorziati, la Comunione ai divorziati e le possibili forme pastorali. Costruire un percorso per cui non esiste peccato a cui resti inchiodato tutta la vita, che tra l’altro non è neanche il più grave (uno può uccidere una persona e pentirsi ma se è divorziato non ha un percorso, ma poi non è così, già nella Chiesa di oggi non è così!). C’è un dibattito e Papa Francesco ha avuto il merito di animare questo dibattito, la cosa è stata un po’ vulcanica e quindi ha creato tante polemiche. La cosa importante in tutto questo è andare sempre alla propria esperienza, ragionare su quali sono poi questi valori non negoziabili su cui il Papa starebbe cedendo, che poi non ci sono. Cerchiamo di capire un po di più. In questo libretto -Guarire dalla corruzione- pubblicato dalla Emi, saggio scritto da Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires, il Papa in realtà è molto severo sugli aspetti di comportamento morale, e fa una distinzione tra peccato e corruzione e coglie una cosa verissima di ognuno di noi, che cioè quando tu un peccato lo fai per tanto (tempo) ti costruisci un sistema per cui dici a te stesso che non è più tale. La cosa “bella”, o meglio la cosa felice del peccato è l’occasione di essere perdonati, è l’umiliazione, la mortificazione, come nell’episodio che abbiamo appena letto della sua confessione. Da un certo punto di vista è bellissimo l’orgoglio di essere peccatore, nonostante sembri paradossale questa frase. La cosa grave è quando ti costruisci un discorso, un sistema e allora dice a pagina 28: “Il corrotto, integrando nella sua personalità situazioni stabili di degenerazione dell’essere, lo fa in modo tale da stimolare un senso ottimista della sua esistenza fino al punto di auto ubriacarsi in quell’anticipo dell’escatologia che è il trionfalismo. Il corrotto non ha speranza. Il peccatore aspetta il perdono, il corrotto al contrario no, perché non si sente in peccato si sente di aver trionfato. Ha vinto nella storia”. È un po difficile ma se ci pensate è proprio così. Tutte le volte che pensiamo di vincere nella storia il nostro peccato più grave è la corruzione perché pensiamo che il proprio progetto è quello che prevale e davvero è la differenza tra l’egemonia e la presenza, per usare dei termini a noi cari. L’egemonia è il tuo progetto, il tuo trionfo nella storia, mentre la presenza è mendicare qualcosa che ti accade e che per certi versi riconosci solo dopo. La presenza appartiene alla famiglia della testimonianza, non alla famiglia del possesso, anzi alla famiglia della gratuità, del non possesso. Pagina Uno (della rivista Tracce marzo 2014) intervento di Carron, a proposito di tutta la polemica su Il Foglio ecc. dice ad un certo punto: “Se non impariamo da questo, noi ripetiamo un tentativo che già di per sé si è dimostrato fallimentare, perché il tentativo illuministico di difendere i valori senza Cristo non è cristianesimo, è solo Kant. Perché l’Illuminismo non voleva cancellare i valori cristiani, si è illuso di poterli vivere e conservare senza Cristo (come diceva Peguy, dopo Cristo senza Cristo). Proprio a questo livello si colloca la correzione della Scuola di comunità: senza il divino l’umano e i suoi valori non si salvano. Solo il divino è in grado di conservare tutte le dimensioni dell’umano, come stiamo vedendo. Salvare i valori senza Cristo: che lo pensasse Kant lo capisco, mi stupisce che lo possiamo pensare noi dopo aver visto il risultato della storia nata dall’Illuminismo per cui ci allarmiamo”. Ho citato questo per dire che una delle forze profonde di Papa Francesco è che ha riportato i termini del discorso sulla morale che la chiesa fa al mondo, non in termini di un giudizio, di un giudizio universale che la Chiesa impone al mondo dicendo “sei corrotto e sbagli”, ma nei termini di un ideale che è la conseguenza dell’amore. Che cosa è la morale? Mi viene in mente una frase straordinaria di Emmanuel Levinas, filosofo ebreo, che diceva: “l’etica è un ottica”. Che cosa è l’etica? È uno sguardo, solo Giussani ce lo aveva spiegato prima di Levinas. Solo Giussani aveva riportato, negli anni cinquanta quando la morale cristiana sembrava dominare, è solo Giussani che riscopre come la questione è lo sguardo dell’uomo nei confronti della vita. È a questo livello che si gioca la partita dell’etica, la vera partita dell’etica, è a livello di conseguenza di qualcosa d’altro, conseguenza dell’amore, conseguenza di una attrattiva. Nel momento in cui, diceva giustamente Carron, come fa Kant (diceva Del Noce, con grande eleganza filosofica, Kant è un ateismo postulatorio, cioè è un ateo veramente ateo, ma deve postulare che Dio esista per far esistere la morale, perché ha ucciso il cristianesimo, in fondo è quello che vuole di più cancellare il cristianesimo, che ha unito queste due cose) togli la radice, la presenza, dei valori senza la radice sono insensati, ma non solo .. Papa Francesco ci dice una cosa che coglie lo spirito dei tempi, esistenziale. Una persona ha scritto una lettera in cui dice: “L’amore e la vita cambiata attraggono, abbracciano, disarmano, la difesa di regole fa irrigidire. Molta gente pensa di essere “controcorrente” comportandosi in un certo modo (ad esempio divorziando ecc.), ma quando si rende conto che il “controcorrente” è mainstream (cioè è voluto dal potere), e che ciò che resta nelle loro mani è una vita triste e infelice, si fa abbracciare da un amore, dalla tenerezza di un incontro che salva e non chiede niente del tuo passato”. Ecco il vantaggio di Papa Francesco, ecco l’aspetto più bello della sua attuale popolarità, che sente che l’uomo di oggi è solo e che ha bisogno di qualcuno che gli stia accanto.
La cosa che a me colpisce è che in quello che tu hai detto adesso ognuno di noi può ritrovare tante tappe della propria vita; la misericordia della quale parliamo è la misericordia che ognuno di noi ha sperimentato sulla propria pelle. Metto insieme due domande visto che hai già incominciato a rispondere. Il tema dei divorziati pone una domanda più generale: cosa è la Chiesa oggi per i cristiani? Che esperienza fanno i cristiani della Chiesa oggi? Cosa chiedono i cristiani alla Chiesa? Per la Chiesa l’opzione dei poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Che significato ha questa apertura per il mondo dei più lontani e degli emarginati?
Se devo dire quale è secondo me la radice della questione della Chiesa povera per i poveri è proprio questa, cioè l’idea che ha lui è che l’uomo di oggi vuole essere amato, e noi ce ne dimentichiamo. Se penso a cosa è stata nella nostra storia la caritativa, a che cosa sono tante esperienze su questo versante, penso ad esempio all’esperienza di Cometa, alle nostre esperienze di accoglienza. Mi colpisce che grazie alla loro esperienza ci invitano a guardare l’altro in un altro modo. Che cosa è il povero? Il povero è uno che più evidentemente del ricco ti domanda qualcosa, ti pone la questione dell’altro; la questione della carità in fondo è questa, è una educazione verso il riconoscimento dell’altro. L’uomo di oggi si chiude in se stesso, non sa più chi è l’altro, perché non riesce più a reggere un amore che duri tutta la vita, non riesce più ad andare d’accordo con i figli o con la moglie, non riesce più a reggere .. anche tutta la questione del femminicidio, una delle interpretazioni più profonde del femminicidio è quella del nostro Recalcati (che stasera ho particolarmente presente) che dice: “guardate che questi uomini che uccidono le donne non reggono all’altro, non reggono al mistero che c’è dentro l’altro, e quindi lo sopprimono. E dice, Papa Francesco (nella Evangelii Gaudium, numero 194): “È un messaggio così chiaro, così diretto, così semplice ed eloquente, che nessuna ermeneutica ecclesiale ha il diritto di relativizzarlo. La riflessione della Chiesa su questi testi non dovrebbe oscurare o indebolire il loro significato esortativo, ma piuttosto aiutare a farli propri con coraggio e fervore. Perché complicare ciò che è così semplice? Gli apparati concettuali esistono per favorire il contatto con la realtà che si vuole spiegare e non per allontanarci da essa. Questo vale soprattutto per le esortazioni bibliche che invitano con tanta determinazione all’amore fraterno, al servizio umile e generoso, alla giustizia, alla misericordia verso il povero. Gesù ci ha indicato questo cammino di riconoscimento dell’altro con le sue parole e con i suoi gesti. Perché oscurare ciò che è così chiaro? Non preoccupiamoci solo di non cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e di sapienza. Perché « ai difensori “dell’ortodossia” si rivolge a volte il rimprovero di passività, d’indulgenza o di colpevoli complicità rispetto a situazioni di ingiustizia intollerabili e verso i regimi politici che le mantengono ». Vi ho citato questo per dire che Gesù ci ha indicato questo cammino per il riconoscimento dell’altro e lo ha fatto con le sue parole e con i suoi gesti. Il valore della povertà è un valore profondo, è un valore che risale a questo, e chi veramente sa e ama la vicenda di San Francesco d’Assisi sa quanto è vero per lui (la caricatura del poverello è una cosa insopportabile, la povertà di Francesco è una povertà radicale, senza se e senza ma, per carità. .. ). la povertà è una strada un metodo per il riconoscimento dell’altro. Questa è una cosa importante. Poi c’è un discorso importante che coglie Papa Francesco sullo spirito dei tempi e cioè sul fatto che è un mondo sempre più diseguale. Non per niente il libro del premio nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, si chiama “Il prezzo della disuguaglianza”, cioè il più grande studioso di Economia del mondo, praticamente uno dei più grandi, dice, siamo nel casino perché non è mai capitato che il mondo fosse così diseguale, almeno non così tanto. Mai così tanto, mai come adesso. L’Avvenire ha riportato una statistica, non smentita dagli altri giornali, per cui cinquantotto persone al mondo hanno l’80% di ricchezza del mondo. Il Papa è anche questo. L’attitudine sociale. Ci sono delle pagine bellissime su questo libretto (Evangelii Gaudium) a questo riguardo. La dottrina sociale della Chiesa, sottolineando il discorso della diseguaglianza che c’è nel mondo oggi, la coscienza della diseguaglianza. L’altra cosa fenomenale, il Meeting l’ha messa a tema, è questa frase che lui dice “dalle periferie si capisce il mondo, non dal centro”, e capite bene che sono cose connesse. Quindi come giudizio, altro che bolla mediatica, come giudizio sul mondo contemporaneo secondo me Papa Francesco coglie lo spirito dei tempi su questo tema qua e fa un discorso anche alla Chiesa, perché anche qui c’è la radice di un giudizio, lui ad es. sullo IOR, non è solo banalmente il fatto che lo IOR degli ultimi trentacinque anni è stato usato da malviventi, criminali, mafiosi, ma il fatto che lui dice “non può essere una controtestimonianza evangelica, cioè non può essere una cosa che testimonia contro il Vangelo, e quindi dobbiamo sbaraccare li.
Ritorno sulla questione dei Media con questa serie di domande: La luna di miele con i mass-media e con un certo pensiero relativista, e/o radical chic, soprattutto di sinistra (vedi copertina del Time, personaggio dell’anno,etc) è destinato a durare? Quale ne è il motivo? Più in generale, cosa intuiscono i media del personaggio Francesco?
Distinguerei due atteggiamenti: obiettivamente come nella citazione che ho appena fatto al Corriere della Sera quando parla di Freud tanti cercano di strumentalizzare Francesco. Capita sempre, qualsiasi fatto che accade, poi tutti ci provano e non tutti in buona fede nel reagire. Però io voglio dire anche che su questo terreno qua chi fa più fatica siamo noi, cioè i cattolici di professione, facciamo fatica come a dire: “no, ma il Papa è mio, oh, il Papa è roba mia” che è un sentimento giusto da un certo punto di vista ma dall’altro è sbagliatissimo perché non coglie la possibilità che questo Papa rappresenta di dialogo vero. Vi faccio un esempio: Time, settimanale americano, dedica la copertina a Papa Francesco. L’Avvenire ha pubblicato una intervista con la direttrice, facendogli la domanda legittima che noi ci stiamo ponendo: “Ma perché avete fatto Papa Francesco uomo dell’anno?” voi americani, che non siete neppure cattolici, e Nancy Gibbs che non è cattolica, direttrice della rivista dice (rispondendo alla domanda “Che cosa ha fatto emergere il nome di Francesco?”): “Il suo nome stesso, per cominciare. Così simbolico del suo stile pastorale. Nella scelta cerchiamo sempre un equilibrio fra potere istituzionale e potere individuale. In questo caso avevamo di fronte un uomo con enorme potere, ma che lo esercita dal basso, a partire dal suo contatto con la gente. Una persona che ha una posizione di immensa influenza ma che si presenta con grande umiltà. E la combinazione non risulta artefatta, ma assolutamente genuina e credibile” e ancora “Ma lo conoscevate prima Bergoglio?” e lei dice: “Ben poco, e questo è significativo. Il nuovo Papa ha dato così tanta speranza a così tanta gente in così poco tempo in un modo che nessun altro ha saputo fare. Ci ha colpito la velocità con la quale ha catturato l’immaginazione di milioni di persone. In pochi mesi Francesco ha rimesso al primo posto la missione consolatrice della Chiesa, l’immagine della Chiesa come rifugio in un mondo spietato. È un Papa pastore, nel senso della parabola del buon pastore, che lascia 99 pecore al sicuro per andare a cercare la pecora smarrita. Questo da solo gli è valso il titolo”. Ora ditemi voi se non è una bella motivazione questa qui! Cosa dice in fondo il cinico direttore del Time? Dice è uno che è vicino alla gente, coglie che la gente è da sola, che la gente vuole innanzitutto essere amata e lui ripropone questa antica missione della Chiesa di essere accanto alla gente. Capite bene che, se il direttore di Time da questa motivazione, ci sarà qualcosa di positivo nel fatto che il mondo laico parla bene di Francesco. Voglio anche dire che a me personalmente piace moltissimo anche il dialogo con Eugenio Scalfari, che pure è stato il fondatore di un giornale che, tante volte, si è dimostrato nemico della Chiesa, a volte insidioso e scorretto. Però Eugenio Scalfari ha adesso un rapporto con Papa Bergoglio che ha qualcosa di incredibile, so per certo che si parlano tutte le settimane al telefono. Al di là della pubblicazione dell’intervista che è uscita sul giornale, forse anche grazie al fatto che Scalfari è stato un uomo di grande potere, di grande ricchezza, di grande successo che però è arrivato alla fine della vita e che si pone un sacco di domande, beh però è una cosa interessante. E mi ha colpito anche Ratzinger che ha risposto ad Odifreddi, perché Ratzinger da Papa emerito si è sentito libero in questa forza di togliere un po di formalismo o di isolamento positivo che avevano i Papi, ha risposto a Odifreddi, che non è certo una persona con cui è facile dialogare, tanto è una macchietta. Abbiamo letto un pezzo di Ratzinger su Repubblica di una bellezza straordinaria e penso che ci sia un aspetto autentico in questo interesse del mondo più lontano e che questo dia a noi una grande responsabilità. Proviamo a leggerlo in questo senso; non come una obiezione a quello che Papa Francesco è, proviamo a leggerlo come una grande possibilità di parlare con tutti, di andare verso tutti, che poi è quello che lui ci chiede.
Come se avessero quasi di più loro la percezione della solitudine e del disastro umano di quanta ne abbiamo noi. Ma adesso vediamo un filmato della diretta Tg4 fra la fumata bianca e il balcone. E la domanda è: come è cambiato il tuo lavoro da quando segui Papa Francesco?
Io ho da subito presentito che il Papa si sarebbe chiamato Francesco non per un gossip, ma perché quando si va nella profondità delle cose tutto è molto più chiaro, e concludo proprio con questo; ho trovato una cosa che il mio amico Massimo Borghesi aveva scritto il 13 Aprile 2005, pochi giorni dopo la morte di Papa Woityla: “è come se oggi dentro la Chiesa ci fosse bisogno di un cristianesimo che torni a parlare un linguaggio semplice, in modo essenziale. In questo senso la figura di un Papa pastore che cura le anime, parroco del mondo, verrebbe incontro a una esigenza diffusa … l’immagine del Papa che si prende cura delle persone, che accarezza i bambini, si china sui malati, è l’immagine più schiettamente cristiana della figura del Romano Pontefice … di fatto ciò che rimane nella memoria del popolo cristiano sono, anche a distanza di anni, proprio quelle immagini di affetto e della cura Papale”. Questo scritto di Borghesi è ripreso in un articolo di Lucio Brunelli, pubblicato il 27 febbraio 2013 su “Il Sussidiario” il quale commenta riferendosi a Massimo Borghesi “pre-vedere la storia. Descrivere Papa Bergoglio senza ancora nemmeno conoscerlo, con otto anni di anticipo”.
Non voglio aggiungere altro se non che la testimonianza di stasera e le parole che abbiamo ascoltato dicono di una grandezza – la grande libertà di Benedetto nella sua scelta e la grande libertà di Papa Francesco nel giocare la propria fede – che chiede a noi, ad ognuno di noi, di correre lo stesso rischio di libertà rispetto a quello che abbiamo incontrato, a quello in cui crediamo. È veramente l’inizio di un lavoro per tutti.