Marco Gemmani, riminese, anzi, parte di una famiglia che ha fatto un pezzo della storia di Rimini, è dall’anno duemila direttore della Cappella Marciana della Basilica di San Marco a Venezia, una delle più prestigiose istituzioni musicali a livello internazionale. Gemmani tornerà nella nostra città per un concerto che, per tanti motivi, ha un sapore speciale. Verranno eseguiti, in Cattedrale a Rimini alle ore 21 dell’11 dicembre, la Missa Papae Marcelli di Giovanni Pierluigi da Palestrina e il Miserere di Allegri. Con Gemmani saranno presenti i cantori della Cappella Marciana. (Ingresso libero fino ad esaurimento posti)
Un ritorno alle origini, da parte di Marco Gemmani, non solo per ragioni geografiche. Il concerto, infatti, si situa all’interno delle celebrazioni per i cent’anni dalla nascita di don Luigi Giussani, profondo conoscitore e amante della musica. Gemmani, anche nella sua esperienza musicale, è cresciuto all’interno del popolo generato dal don Gius. Lo abbiamo intervistato, per farci aiutare ad assaporare la serata dell’11 dicembre, che lui stesso definisce “impegnativa, ma, nel contempo, molto immediata” e dunque tale da soddisfare sia esigenti musicofili sia neofiti.
Marco, che concerto sarà l’ 11 dicembre sera?
Più che un concerto io lo definirei un evento. Ascolteremo musica sacra, musica che è stata scritta per educare alla fede, per avvicinarci al Mistero. Dunque sarà l’occasione per tutti, per entrare di più, con tutto se stessi, dentro quel mistero che è la vita, approfondendo il proprio rapporto con Chi ci dona la vita in ogni istante. Devo dire che sempre la musica ha avuto questo scopo. Tutta la musica! Io credo che, intesa così, non abbia più senso distinguere la musica sacra da quella profana. Lo stesso San Tommaso d’Aquino dice che tutta la musica, in quanto tale, orienta al bene.
Sarà un concerto difficile, per musicofili?
Non credo. Certamente non è la musica che ascoltiamo distrattamente durante la giornata, ma, sebbene sia musica lontana da noi, sarà facile lasciarsi prendere dalla bellezza e dalla genialità dei due autori proposti. In particolare la Missa Papae Marcelli ha proprio questa caratteristica: essere complessa e profonda, ma di facile approccio. È una composizione di uno dei più grandi geni della musica, Giovanni Pierluigi Da Palestrina, ed è una delle sue opere più alte. Se affrontata con apertura di spirito può però risultare molto immediata. Fu uno dei primi frutti, tra i più riusciti di quanto chiedeva alla musica il Concilio di Trento. In quel momento la Chiesa aveva compreso l’importanza educativa della musica e aveva deciso di investire in modo massiccio nell’arte dei suoni per educare tutti alla fede.
Ed Allegri?
Il Miserere di Allegri risale al ‘600 ed utilizza stilemi musicali diversi. Il piccolo Gregorio deve aver appena intravisto l’ormai celebre compositore preneste ma ciò che li accomuna è certamente la grande espressività e la forte intensità della musica.
Dunque, l’11 sera sarà un momento anche per i non esperti. Cosa occorrerà per assaporare al meglio quanto eseguirete?
Sarà sufficiente venire con il cuore aperto, essendo disponibili a lasciarsi catturare dalla bellezza incredibile che queste opere portano in sé. L’interessante non sarà il saper distinguere le linee contrappuntistiche, le sfumature dell’interpretazione o tutte le scelte stilistiche. Anzi, questo porterebbe a perdersi l’essenziale. Saremo di fronte, ve lo garantisco, ad una bellezza che muove il cuore. Occorre solo lasciarsi investire da questa immensa bellezza.
Il concerto è in memoria di don Giussani. Come valuti tu, da uomo che si è dedicato interamente alla musica, il rapporto tra Giussani e la musica?
Giussani è un educatore. Per lui la musica è uno dei tanti fattori che educa alla fede. Ma per far questo, ed è la sua caratteristica originale e direi unica, va al fondo della musica stessa, cogliendo cose che talvolta nessun musicista sarebbe in grado di cogliere. Ha, in tal senso, una genialità inaspettata. Giussani aveva uno sguardo così profondo su tutte le cose che, nel caso della musica, gli permetteva di superare le raffinatezze accademiche. A questo contribuiva anche il suo carattere irruente. Una irruenza che nella musica è molto utile, perché la musica porta direttamente all’essenza delle cose. Pertanto il suo procedere fortemente intuitivo lo facilitava a cogliere l’essenziale dei brani che ascoltava. Ma occorre dire che lui stesso, ascoltando, faceva un percorso nella musica. L’ascolto era per se stesso prima di tutto, dunque esistenzialmente, un passo in più verso il Mistero. Ricordo quando nel 1991 gli facemmo sentire un concerto dedicato a Monteverdi ed era entusiasta a dir poco. Ricordo la sua forte reattività, ma una reattività che andava in profondità.
Marco, parlaci ora di te. Leggiamo nelle tue biografie che a 4 anni già suonavi il piano, a 7 hai iniziato lo studio del violino e a 15 hai diretto il tuo primo concerto. La musica per te è una vocazione. Ma poi per arrivare a dirigere la Cappella Marciana immagino sia stato necessario un lavoro enorme. Cosa ti ha sostenuto in questo percorso, affascinante ma senza dubbio faticoso?
Mi ha sostenuto la corrispondenza che sentivo tra la musica e la mia vita. La musica ti prende interamente e ti porta ad una profondità nel concepire te stesso incredibile. Questo è… appagante, ma questa parola non riesce a rendere quanto voglio dire. È molto di più che appagante. La musica è fatta per la persona, ti prende fin dall’interno, è molto stringente. Quando ti prende sul serio non ti molla più e ti fa avvertire tutta la positività della vita. Come dicevo prima, citando San Tommaso, non esiste la musica cattiva. Questa immersione nella positività permette di superare ogni fatica.
Infine raccontaci un po’ del tuo lavoro. Cosa fa un direttore della Cappella Marciana?
Il mio compito è recuperare e studiare l’enorme patrimonio musicale che ha prodotto la Cappella Marciana nei secoli. Occorre tener presente che è una delle Istituzioni più importanti al mondo per quanto riguarda la musica e nasconde tesori enormi che per la maggior parte sono sconosciuti. Le opere nate al suo interno hanno forgiato indelebilmente le caratteristiche della musica occidentale così come la conosciamo oggi. Difatti, l’evoluzione e l’immediatezza della nostra musica degli ultimi secoli non si è realizzata altrove e ci viene invidiata da tutto il mondo. Penso ai tanti musicisti giapponesi, coreani, cinesi o comunque extraeuropei, che vengono da noi per impararla e si appassionano essi stessi a questo nostro patrimonio, pur provenendo da tutt’altra cultura. Il mio compito è recuperare queste partiture nate all’interno della Basilica di San Marco, studiarle, eseguirle e diffonderle. Ogni volta che lavoro su un nuovo autore è una sorpresa. Tutti conoscono i nomi di Gabrieli e Monteverdi, ma in realtà ce sono tantissimi altri che spesso non sono da meno. Ad esempio, il 20 dicembre eseguiremo per la Stagione Sinfonica della Fenice, la Messa Benedicam di Claudio Merulo, a 12 voci in tre cori, con strumentisti che vengono appositamente da Basilea per eseguirla. È un patrimonio di una bellezza incredibile ancora tutto da esplorare.