Massimo Recalcati a Rimini affronta l’emergenza educativa. La testimonianza come unico atto capace di trasmettere il senso della Legge (il “non tutto”) e accendere il desiderio.
L’incontro è stato sostenuto da Banca Malatestiana, Gruppo Maggioli e Ariminum, con il patrocinio del Comune di Rimini.
“Un altro giorno divino”. Con questa espressione, pronunciata da uno zio fioricoltore che ogni sabato mattina si metteva una foglia di basilico nelle narici per respirarne il profumo, Massimo Recalcati ha sintetizzato il cuore dell’educazione davanti a un pubblico numeroso intervenuto giovedì 7 novembre all’incontro “È ancora possibile educare?”, organizzato dalla Fondazione Karis, dal Meeting per l’Amicizia fra i Popoli e dal Portico del Vasaio.
Lo psicoanalista e saggista, autore di opere fondamentali come “Il complesso di Telemaco” e “La luce e l’onda”, ha affrontato uno dei nodi più urgenti del nostro tempo con la lucidità di chi ogni giorno raccoglie “i cocci, le vite che si sono rotte” – come ha detto presentandosi nella sua triplice veste di psicanalista, oltre che di padre e professore.
L’impostura della regolazione
Recalcati ha esordito con una “doppia notizia”, desunta da Freud: “L’educazione è un mestiere impossibile”, ma i migliori educatori sono proprio “coloro che sono consapevoli di questa impossibilità”. Da qui segue la critica serrata a quella che ha definito “l’impostura pedagogica oggi egemone”: ridurre l’educazione alla regolazione dei comportamenti del figlio, presumendo di avere un modello bell’e pronto di principi da introdurre nell’educando.
“Se voi andate in qualunque libreria – ha spiegato – troverete libri che spiegano ai genitori come regolare il sonno, l’appetito, l’apprendimento. Ma l’educazione non è un addestramento, non è il dressage che facciamo sul corpo selvatico del figlio come se fosse un cavallo”.
Il problema, secondo Recalcati, è che il nostro tempo confonde le regole con la legge. Ad esempio, “il semaforo è l’espressione pura di una regola: verde-rosso, permissività-normatività. Ma educare significa rispondere a una domanda più profonda: perché non uccidiamo? Qual è il movente per cui non rubiamo?”. La risposta sta nel “senso della legge”, che non si riduce all’osservanza delle regole.
Iscrivere il “non tutto” nel cuore
“C’è educazione – ha proseguito lo psicanalista – quando il senso della legge si inscrive, come diceva il profeta Ezechiele, nella carne del cuore del figlio”. E cosa significa questo senso della legge? “Inscrivere il senso dell’impossibile, il senso del non tutto: non posso avere tutto, sapere tutto, godere di tutto, essere tutto”.
È questo limite, paradossalmente, a rendere possibile il desiderio: “Se lui è tutto, se ha tutto, come può desiderare? La condizione dello slancio del desiderio, di quella che l’evangelista Giovanni definisce Zoè – la vita capace di essere viva – dipende dall’inscrizione del non tutto nel cuore del figlio”.
Testimoniare, non dialogare
Ma come si trasmette questo senso della legge? “C’è un solo modo: testimoniare”, ha affermato con forza Recalcati. “I nostri figli hanno bisogno di testimoni, meglio se nei loro genitori, ma anche in figure marginali – un allenatore, un insegnante, come possiamo trovare esemplificato in alcuni film di Clint Eastwood”.
E qui l’immagine potente dello zio fioricoltore: “Abbiamo bisogno di un insegnante che entri in classe non pensando ‘che noia’, ma con quella foglia di basilico nel naso, pensando ‘un altro giorno divino’. Che pensi: voglio portarvi in un posto nuovo, verso la luce, voglio che la vita si accenda”.
La testimonianza passa dagli atti, non dalle parole: “Credo poco nel dialogo con i figli. I figli vogliono dialogare coi loro amici, non con noi. Passiamo tutta la notte a dialogare col figlio, il giorno dopo tutto come prima. Il cambiamento avviene attraverso il silenzio dell’atto: quando un figlio vede il padre che si dedica con amore a quello che fa, magari non coglie subito l’effetto, ma la testimonianza genera effetti retroattivamente”.
“Eccomi” e “Vai”: i due codici della genitorialità
Recalcati ha individuato due movimenti fondamentali dell’educazione, incarnati in due parole bibliche. “Quando i figli sono piccoli, la parola chiave è ‘Eccomi’ – rispondere al grido nella notte, offrire presenza all’inerme”. Ma quando crescono, serve la parola del padre della parabola del figliol prodigo: “Vai. Lasciarlo libero di incontrare il segreto del suo desiderio, non attribuirgli progetti, non incaricarli di realizzare il nostro desiderio”.
Il rischio opposto? “Se continuiamo a dire ‘eccomi’ diventiamo un incubo. Hai studiato? Mangia, mangia… L’insistenza genera resistenza”, ha citato richiamando lo psichiatra Charles Séguin. “Dico studia, studia e il figlio non ne vuol sapere. Dico mangia, mangia e arriva l’anoressia”.
Il dovere come forma del desiderio
Nella parte conclusiva dell’intervento, Recalcati ha rovesciato la contrapposizione moralistica tra dovere e desiderio: “Il motto ‘prima il dovere, poi il piacere’ non va bene. Piuttosto il dovere deve diventare la forma più pura del desiderio. Quando un figlio si salva? Quando la sua vocazione assume la forma di un dovere che lo ingaggia”.
Ha citato il pittore Giorgio Morandi, nato in una famiglia di commercianti che volevano altro per lui: “A un certo punto dice ‘Se io non dipingo, muoio’. Estremo, ma se noi disertiamo il nostro desiderio ci ammaliamo. Non c’è incubo peggiore che abitare il sogno di un altro”.





La fiducia nel figlio imperfetto
L’ultima indicazione è stata sulla fiducia: “Tutti i figli sono imperfetti. Noi li amiamo proprio perché sono così. Avere fiducia è un modo per rafforzare il desiderio del figlio. La fiducia potenzia il desiderio, lo scetticismo lo depotenzia“.
Come distinguere un vero desiderio da un capriccio? “La costanza. Il desiderio porta con sé la costanza. Nessun genitore può garantire la felicità di un figlio – nessuno può – ma dentro questo impossibile abbiamo il compito di mostrare che è possibile quaggiù rendere il nostro desiderio un dovere”, vivendo appieno la nostra vita.
Il regalo di un momento di riflessione
Nell’introduzione, Samuele de Sio, presidente della Fondazione Karis, aveva inquadrato il senso dell’incontro: “Questa sera ci facciamo un regalo: il regalo di fermarci un attimo per un momento di silenzio, ascolto e riflessione”. Richiamando la scena raccontata da don Giussani del bambino che con la madre vede un’ultima stella nel cielo e sente dire “Come è bello il mondo e come è grande Dio”, De Sio aveva posto la domanda: “Quale testimonianza, quale gesto educativo più semplice ma più efficace di questo?”.
L’emergenza educativa, aveva sottolineato, “non interroga solo la scuola, interpella innanzitutto noi genitori. Siamo chiamati a mostrare ai figli, a dare testimonianza che la vita vale, che vale la pena e che può esserci un senso”.
Recalcati ha risposto mostrando che questa testimonianza non richiede perfezione, ma autenticità: vivere fino in fondo la propria vita, trasformare il dovere in desiderio, entrare ogni giorno – metaforicamente – con quella foglia di basilico nel naso, convinti che questo possa essere “un altro giorno divino”.